Nel corso degli anni Sessanta Tullia Socin dedica grande parte della sua produzione pittorica alle visioni cosmologiche, che si inseriscono in una più ampia ricerca “sul non figurativo” iniziata almeno una decina d'anni prima.
Una danza febbrile e creatrice che ora investe il cosmo, ma che non avrebbe potuto generarsi se non dalla natura folta, viva, vibrante, già astratta e ricondotta agli elementi essenziali, ricomposta e diluita nella luce, che Tullia Socin ripensa dalla metà degli anni Cinquanta. Una natura afferrata mentre vibra e vive, retta da un panico mistero che è la legge che muove e svela il cosmo.
Madre di mondi, l'universo di Tullia Socin è astratto, liquido, denso: una soluzione fluida dissolve Io-Natura in Io-Cosmo.
Grandi tele che testimoniano l’interesse e lo studio sulla polimatericità, magmatiche visioni di risonanze astrali, concretamente intensificate dall’inserimento di vecchi ferri e corde, resti, vestigia e ricordo della fabbrica di famiglia, potenziate dall’atto di un corpo fisico che agisce sul corpo inerte denso di pigmento, messo in moto, reso ricettivo.